Ricorre l’anniversario della morte di Alberto Garzoni, giovane Fazzoletto Verde ucciso nel corso di un’imboscata nazifascista a Ragogna, nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1944.
“Berto” nasce ad Adorgnano di Tricesimo il 9 aprile 1921, dalla madre tedesca Federica Wetter, originaria di Merklinde (Dortmund), e dal padre Giobatta, emigrante in Germania. Due anni più tardi, i genitori si trasferiscono in Svizzera nel Cantone di Neuchâtel, dove Alberto trascorre l’infanzia e l’adolescenza. Già boscaiolo, il giovane rientra in Italia per adempiere alla chiamata alle armi.
Il suo foglio matricolare attesta che nel marzo del 1942 è a Spoleto, presso il deposito del 52° Reggimento di Fanteria “Alpi”, destinato al battaglione di complemento del 150° “Perugia”. Il documento non contiene, tuttavia, indicazioni sulla sua presenza al fronte, in Jugoslavia o in Albania. In ogni caso, dopo l’8 settembre 1943, Alberto riesce a rientrare in Friuli. Tricesimo è occupata dai Tedeschi, in virtù della sua posizione strategica lungo la Pontebbana. Ad Adorgnano il forte è requisito quale loro deposito di armi ed esplosivi. La minaccia della cattura e i bandi nazifascisti per l’arruolamento forzato impongono anche ad Alberto di scegliere il da farsi. Di sua iniziativa, intraprende azioni di sabotaggio. In paese c’è Corrado Sebastianutti “Muk”, tra i primi a salire in montagna con la Brigata Osoppo nella primavera del 1944. I contatti con lui risultano decisivi per la volontà di Alberto di raggiungere, anche attraverso i patrioti di Raspano, le fila osovane in Val d’Arzino, entrando a far parte del Battaglione Italia D.D.
La ricostruzione più dettagliata di quanto avviene nel corso della drammatica notte in cui egli muore è riportata dal ragognese Ermes Brezzaro “Isonzo”, sulla base delle testimonianze per tempo raccolte.
Tedeschi e militi della RSI tendono un’imboscata premeditata ai partigiani che guadano il Tagliamento alle spalle del Monte di Ragogna. Il fuoco nazifascista li investe in prossimità dell’abitato di Muris, in distinti episodi, che costano la vita anche ai garibaldini Allegrino Marcuzzi e Annivardo Scagnetto.
“Berto” è assieme a Rainiero Persello “Goi”, Aldo Faelutti “Caverna” e Giovanni Colaone “Ferant”. Il fatto che il giovane sia al fianco del comandante e di due “veterani” del reparto conferma la fiducia riposta nelle sue capacità. I patrioti procedono in fila indiana, con gli zaini colmi di medicinali, ritirati nell’ospedale di San Daniele, quando vengono improvvisamente fatti oggetto delle scariche dei mitragliatori nemici. “Goi” è sfiorato dai proiettili, “Caverna” e “Ferant” sono feriti. Grazie al comandante saranno messi in salvo e curati. Purtroppo, per “Berto” non c’è nulla da fare. Colpito alle gambe, rimane a terra e viene ucciso da distanza ravvicinata, forse a colpi di pistola. In virtù della reazione di “Goi”, anche i nazifascisti contano morti e feriti. I corpi dei tre partigiani caduti vengono fatti trasportare su un carro ed esposti davanti alla chiesa di Muris, a monito per la popolazione.
Nel redigere il certificato di morte, il dott. Giannino Pascoli, medico di Ragogna, constata che due di loro sono stati colpiti alla testa con il calcio del fucile, mentre il più giovane ha le gambe spezzate e un braccio rotto. Del cadavere di “Berto”, deposto su assi di legno, viene scattata una fotografia, che ancor oggi impressiona e commuove. Solo grazie alle suppliche del parroco locale Don Egidio Blasutta, viene autorizzata la sepoltura dei tre patrioti. La lapide che è posta a Muris in Via Bosco rende omaggio al loro sacrificio per la libertà dell’Italia. Alberto Garzoni riposa nel cimitero di Tricesimo e uno dei cipressi piantati all’esterno del camposanto è dedicato alla sua memoria.
Jurij Cozianin