La maggior parte della pubblicistica italiana ed anche il film a lui dedicato si compiacciono, con una vena di antiamericanismo, a descrivere Enrico Mattei solamente come protagonista della “guerra del petrolio”. Pochi, invece, ricordano il suo ruolo fondamentale nella Resistenza e nella nascita della democrazia in Italia.
La personalità di Enrico Mattei fra i capi della lotta di liberazione si impone per autorevolezza e per chiarezza di idee, quel che pochi avevano soprattutto riguardo al futuro dell’ Italia nel dopoguerra.
La sua visione politica è quella del cristiano, ma non dalla fede debole bensì capace di motivare il disegno apparentemente ambizioso di cambiare le istituzioni in direzione di una vera partecipazione popolare alle scelte di governo.
Il voler coinvolgere sempre soprattutto le fasce più umili della popolazione promuovendone l’occupazione, l’istruzione, l’evoluzione economica e sociale, lo ha visto in prima fila nel Parlamento e come ispiratore di un consistente gruppo di amministratori pubblici.
La sua visione profetica, ma concreta, della società lo ha portato ad applicare prima di tutto a se stesso lo spirito di un impegno disinteressato e totale al bene comune.
La prova di questa coerenza è l’essersi battuto non a parole nella guerra di Liberazione correndo grandi pericoli, aver provato il carcere e aver sfidato non poche volte la sorte. Se dai combattimenti contro i nazifascisti ne uscì vivo, non è stato così ballottare per migliorare un’Italia che non aveva compreso e realizzato la sostanza di quel che era avvenuto fra il luglio 1943 e l’aprile 1945.
Non possiamo dimenticare la simpatia che Mattei ebbe per l’Osoppo soprattutto a partire dai giorni in cui in seno al CLN Alta Italia ci furono consistenti pressioni perché fosse lasciato perdere il Friuli orientale affinché venisse accontentato il desiderio della nuova Jugoslavia di appropriarsene come preda di guerra. Non accettò né il complesso di colpa, che a taluni era venuto, né il legame ideologico e fu tra i pochi a tenere in considerazione gli appelli che gli giungevano dai comandanti osovani.
Così come fu determinato a far luce su quanto accaduto alle malghe di Porzus.
Alla fine del conflitto, ormai presidente dell’AGIP, volle mantenere questo legame attraverso due uomini di sua fiducia, don Ascanio De Luca e Manlio Cencig.
Il destino poi ha voluto che il suo ultimo 25 aprile lo passasse a Udine. Il 27 ottobre 1962 il sogno di una vita si è infranto e con esso anche quello di molti friulani ed italiani che gli avevano concesso in credito una fiducia commisurata alla sua coerenza ideale.
La sua tragica fine lascia molti misteri, come per tanti altri grandi personaggi della storia, la cui morte è diventata un simbolo di profondo cambiamento. Talora ci chiediamo quale sarebbe stata l’Italia se Mattei avesse potuto portare a termine le sue aspirazioni. Possiamo essere certi di una cosa: sarebbe stata certamente migliore.
Roberto Tirelli