LA RESISTENZA DELLE GUARDIE ALLA FRONTIERA A TARVISIO IL 9 SETTEMBRE 1943

Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943, la Caserma “Italia” di Tarvisio è testimone di quello che viene ritenuto il primo episodio della Resistenza militare italiana agli invasori tedeschi e nazisti, dopo l’annuncio dell’Armistizio di Cassibile. Ne sono valorosi artefici circa trecento uomini del XVII° Settore di Copertura della Guardia alla Frontiera, agli ordini del tenente colonnello Giovanni Jon, piemontese di gran tempra, e del capitano padovano Bruno Michelotto, che si rifiutano di accettare il reiterato ultimatum di resa, intimata dal colonnello Hans Brand, al comando delle famigerate Waffen SS Karstjäger che circondano la Caserma, apprestandosi ad attaccarla.

Pur consapevoli dell’inferiorità numerica e di armamento, gli ufficiali italiani e “le sentinelle avanzate della Patria” hanno infatti deciso di resistere, in nome del giuramento di fedeltà all’Italia, del senso del dovere e dell’onore, benché isolati e in vana attesa dei rinforzi più volte richiesti attraverso l’unico mezzo di comunicazione di cui ancora dispongono, ovvero il centralino telefonico pubblico, in servizio all’interno del municipio. Ne è l’operatrice Luigia Picech, originaria di Cormons, che rimane al proprio posto nel corso della furiosa battaglia che investe anche la sua postazione, disperatamente difesa da un plotone di fucilieri e fanti antiparacadutisti.

Pur ferita, impugna la pistola di un caduto, prima di essere catturata. Il suo comportamento encomiabile sarà riconosciuto nel 1947 con il conferimento della Medaglia d’Argento al Valor Militare quale “fulgido esempio di coraggio, sprezzo del pericolo e della eroica stirpe del generoso, patriottico e forte Friuli”. È la prima donna decorata della Resistenza. La cruenta battaglia nella Caserma in Via Romana si protrae per oltre sei ore, fino al mattino del 9 settembre. Gli strenui difensori, protagonisti di atti di eroismo individuale e collettivo, alzano la bandiera bianca solo dopo aver esaurito le ultime munizioni. Ricevono l’onore delle armi da parte dei tedeschi, le cui perdite sono imprecisate ma gravi. I militari italiani caduti sono ventinove, decine i feriti. Hanno sacrificato la propria vita anche i friulani Antonio Falcomer di Sequals, Antonio Francescut di Casarsa, Livio Merlo di Gemona, Ciro Pittin di Comeglians ed Ettore Varnier di Caneva.

Nel 1947, alla memoria dei genieri Falcomer e Varnier saranno concesse le Medaglie d’Argento. Nel 1950, la medesima onorificenza risulterà conferita al fante Merlo. Le tristi esequie dei caduti vengono officiate a Tarvisio l’11 settembre da monsignor Giuseppe Fontana. I patrioti sopravvissuti e fatti prigionieri vengono trasferiti a Camporosso ed avviati sui carri bestiame diretti nei lager nazisti, in Germania e Polonia, assieme ai commilitoni dei sottosettori di Boscoverde, Fusine, Ugovizza e Pontebba. Alla deportazione riesce avventurosamente a sfuggire la Picech, mentre Jon, ferito, e Michelotto condividono la sorte dei loro uomini, rifiutando ogni ipotesi di collaborazione con l’occupante.

Entrambi riusciranno a superare anche quella esperienza infernale. A fine guerra, dopo il rimpatrio, l’anziano ufficiale sarà promosso colonnello e il capitano decorato della Medaglia d’Argento. I militari che in qualche modo, con l’aiuto dei civili, riescono a sottrarsi alla cattura e all’internamento non esiteranno a riprendere la lotta per la Liberazione della Patria a cui sono sempre rimasti fedeli.

Alcuni di loro lo faranno nel reparto osovano “Frontiera Nord”, costituito attorno a Cave del Predil. È la scelta che compirà anche il mio prozio Amensi Ceccone, sergente maggiore della G.a.F. a Tolmezzo (XVI° Settore), rientrato dopo l’8 settembre a Tarvisio, in cui risiedeva prima della chiamata alle armi, da operaio teleferista nella miniera di Cave. Jurij Cozianin

Dove e quando:
Tarvisio
8-9 settembre 1943
La lapide che ricorda i Caduti di Tarvisio