La data del 26 gennaio ci ricorda l’anniversario della battaglia di Nikolajevka e, di conseguenza tutte le tragiche vicende vissute dall’esercito italiano in quella che fu la campagna di Russia che costò la vita a 90 mila giovani soldati, la maggior parte dei quali alpini.
Come noto il collasso delle divisioni italiane schierate lungo il fiume Don ebbe inizio a metà dicembre 1942 a seguito della fortissima offensiva russa. Nel mese successivo l’Armata Rossa travolse i reparti italiani, molti dei quali si sfaldarono, provocando la ritirata di migliaia di uomini ormai allo sbando, diretti verso ovest alla disperata ricerca di una via di fuga dall’accerchiamento.
Alcuni reparti (soprattutto alpini) si mantennero compatti ed efficienti riuscendo così ad aprirsi la strada combattendo ripetutamente contro i russi. L’ultimo scontro fu appunto quello di Nicolajevka, dove i battaglioni efficienti della Divisione Alpina Tridentina diedero lo slancio all’assalto: riuscirono a sfondare e dopo altri cinque giorni di marcia verso ovest, la colonna degli italiani riuscì a raggiungere le linee tedesche e quindi fu al sicuro.
Non così invece riuscì all’altra grande colonna alpina, quella della Divisione Cuneense: dopo combattimenti e peripezie inenarrabili erano arrivati al meridiano di Nikolajevka, ma trenta chilometri più a Sud dove i russi avevano predisposto sul loro percorso uno sbarramento.
A Valujki il 27 gennaio i battaglioni piemontesi avevano tentato di sfondare, ma al termine della giornata il generale Battisti, comandante della Divisione aveva accettato di arrendersi coi suoi reparti ormai sopraffatti. Per molti a Valujki cominciò quella che Nuto Revelli ha chiamato "la strada del Davai" (davai è la parola russa che significa "avanti"), il cammino verso la prigionia che non risparmiò ulteriori sofferenze.
Nikolajevka ha assunto nella memoria di quei combattenti e dell’intero popolo italiano un significato profondo e particolare, che ha trovato espressione nelle tantissime opere storiche, letterarie, testi musicali ed anche nella memoria che ancora oggi si perpetua in tanti luoghi, fra i quali il Tempio di Cargnacco dove si svolge la cerimonia i ricordo dei giovani caduti in quella immane tragedia. Come detto 90 mila furono i soldati che morirono in battaglia, assiderati nella ritirata, morti nei campi di concentramento russi.
La disfatta rese più evidente, a coloro che riuscirono a scampare alla morte e alla prigionia e a tutti gli italiani, le gravi colpe e responsabilità del regime fascista che aveva portato in guerra l’Italia ed in particolare ad associarsi ai tedeschi nella aggressione alla Russia.
Molti di coloro che rientrarono dalla Russia, nei mesi successivi trovarono infatti naturale aderire alle formazioni partigiane.