INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELL’ APO
CESARE MARZONA
Canebola domenica 07.02.2016,
Cari Amici,
in questo luogo ove commemoriamo il tremendo eccidio perpetrato alle Malghe, con orgoglio immutato desidero ancora una volta testimoniare gli alti ideali e la purezza di intenti dei martiri il cui esempio - anche e soprattutto in questi tempi confusi - è sempre vivo e validissimo.
Grande è stato il tributo di sangue versato dall'Osoppo per dare all'Italia un futuro di libertà e democrazia.
Lasciatemi ricordare un altro caduto che, sia pur in una diversa circostanza, ha dato la sua vita in nome degli stessi principî.
Un giorno dell'agosto del 1944 risalivo da Udine verso Raspano dove in casa Scagneti avevamo posto il comando di Battaglione. Stavo percorrendo la strada detta "dei buongustai" senza sapere che a distanza di pochi metri erano stati trucidati "Bologna" e "Piero".
Avevo affidato alle mani del prof. Pieri (che qualche contadino friulano continua a chiamare Pietro), Giovanni Collaone ossia "Giovanin Ferant", uno dei campioni della Terza Brigata che era stato ferito alla rotula del ginocchio sinistro.
Fuori da Cassacco c'è una piccola salita che stavo percorrendo faticosamente, quando all'improvviso mi sono visto accostare da un mio uomo, Enore Borgobello detto "Provino", il quale con gesti e strani movimenti mi stava letteralmente gettando a terra.
Allora dissi a Enore: Ma cosa fai, sei diventato matto o hai qualcosa da dirmi?
Enore, senza remore, subito rispose: "hanno ammazzato tuo fratello".
Nel frattempo un ufficiale tedesco, per portare a mia madre la notizia, l'aveva raggiunta a Treppo Piccolo dove abitavamo e le aveva consegnato una scatoletta.
Aperta la scatoletta, nell'interno c'era la medaglia di battesimo che Giancarlo portava sempre al collo.
In un primo momento mia madre l'ha rifiutata, non volendo riconoscerla, ma poi, presa dall'angoscia, l'ha presa per darla a me.
Da allora, l'ho sempre portata al collo per continuare a mantenere vivo il ricordo e l'esempio di mio fratello con l'intento di rappresentare lo spirito e le virtù che animavano gli osovani e che erano osteggiati non solo dal nemico, ma, purtroppo, anche da coloro che si presentavano come amici, ma che, invece, si battevano senza scrupoli per consegnare l'Italia da una dittatura ad un'altra certamente non meno spietata e sanguinaria.
Queste celebrazioni, oltre al doveroso omaggio per i caduti, valgano quindi come memento attualissimo che ammonisca ciascuno ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte.
Noi lo abbiamo fatto allora e siamo pronti a rifarlo perché solo su quegli stessi ideali per i quali hanno dato la vita i martiri delle Malghe, e di cui abbiamo ancora tanto bisogno, può formarsi una società giusta.
Dott.. Cesare Marzona