E’ mancato il nostro socio Renzo Piccoli, nato a Fiume nel 1937, ma cresciuto e vissuto in Friuli, prima a Segnacco di Tarcento e poi a Udine dove si era trasferito. Renzo, che aveva conseguito il diploma di geometra, aveva lavorato inizialmente presso studi tecnici della città; poi vinse un concorso in Provincia e lavorò anche all’Istituto Autonomo delle Case Popolari, fino al pensionamento. Un tecnico di altissimo valore che, come ha testimoniato un suo amico, disegnava “dal piccolo mobile, curato in ogni suo dettaglio, per renderlo iper-funzionale, all’edificio più imponente con progetti architettonici ed esecutivi, eseguiti con cura, pazienza e cuore.”
La vita di Renzo fu segnata dalla tragedia che colpì la sua famiglia sul finire del 1944. Il padre Firmino, friulano, si era recato a Fiume negli anni Venti per lavorare nel locale silurificio e, nel 1943, vedendo tempi bui, spinse la moglie a rientrare con i bambini in Friuli, a Segnacco di Tarcento, presso i nonni. Firmino Piccoli invece restò a Fiume, venne militarizzato con il compito di guidare un camion a gasogeno che faceva la spola tra Fiume, il Friuli e il Veneto per trasportare generi alimentari che erano destinati alla popolazione civile da distribuirsi con la tessera annonaria.
Il seguito della triste vicenda fu raccontato dallo stesso Renzo in una lettera pubblicata, nel novembre del 2013, su un quotidiano locale: in un Comune della Bassa friulana era in discussione la proposta di intitolare una strada a un partigiano garibaldino. Renzo Piccoli, decise di intervenire sulla vicenda che stava creando non poche polemiche e scrisse queste parole: “In occasione delle feste natalizie del 1944, (mio padre) in viaggio nel Basso Friuli, in abiti civili, è stato intercettato dalla banda di partigiani garibaldini sulla strada che da San Martino di Codroipo conduce al paese di Lonca, nei pressi di Villa Manin di Passariano.
Qui i partigiani, rubato o requisito il carico, considerato un esproprio proletario, hanno ucciso mio padre (36 anni) e il suo aiutante, addetto alla legna nella caldaia del gasogeno, lasciandoli stesi nell’acqua delle Risorgive. Di questo eccidio non si è avuto riscontro nei giornali di allora, ma si trova traccia in una pubblicazione con l’elenco delle vittime della Resistenza. Negli anni ‘60 mi sono attivato per conoscere meglio il fatto e il luogo: sono venuto a sapere da un fattore, che lavorava i terreni di proprietà Kechler, che, giunto primo sul luogo, ha scoperto i cadaveri avvertendo le autorità comunali di Codroipo”.
Renzo Piccoli, oltre ad avere alcune testimonianze di partigiani locali, come l’osovano Marco Cesselli, ebbe anche un contatto con lo scrittore Elio Bartolini, che aveva partecipato alla Resistenza nella zona. “Bartolini – prosegue lo scritto di Piccoli – nel suo primo libro descrive sia il luogo, chiamato con il titolo ‘Il Ghebo’, sia le gesta del capo partigiano, che chiama ‘Il monco’, crudele, feroce, spietato nelle sue scorrerie con i suoi seguaci, giovani attratti dalla sua personalità e intraprendenza, ma nulla della sorte di mio padre. A me è rimasta l’amarezza per l’episodio: sopprimere a freddo, due vite, due padri di famiglia, per poi festeggiare con i generi alimentari. Mi permetto infine di ricordare, che allora, tre fratelli di mio padre si recarono nel cimitero di Codroipo per ritirare la bara con un triciclo. Impiegarono tre giorni ad arrivare nella casa dei miei nonni. Il funerale si è svolto la vigilia dell’ultimo Natale di guerra. Ricordo ancora bene, io (7 anni) e mia sorella (14 anni), soli, perché la mamma era disperata e sconvolta, dietro la bara di mio padre che era portata a spalle da uomini anziani del paese, arrancando sulla salita al cimitero di Sant’Eufemia. Questa è la tragedia di cui è stato capace un tale che alcuni intendono osannare, mentre lui è subito fuggito in Jugoslavia con i suoi rimorsi. Caro direttore, mi creda, per la mia famiglia è stato un dramma.”
Per Renzo questo dramma fu sempre presente, anche se evitava di intervenire pubblicamente o polemizzare su quanto accaduto.
Ci colpì però quando, tempo addietro, ci propose di recarci con lui presso i Casali Papais a San Martino di Codroipo, nel luogo dove suo padre era stato ucciso: lì, ci disse, nel fosso al bordo della strada, c’è la piccola croce che ricorda quei due morti e sulla quale voleva portare un fiore. Poi arrivò il Covid, poi vennero i suoi problemi di salute e purtroppo non se ne fece nulla.
Mandi Renzo, porteremo quel fiore che non siamo riusciti a portare assieme.