IL RICORDO DI ISI BENINI A CENTO ANNI DALLA NASCITA

Il 9 marzo ricorre il centenario della nascita di Isi Benini (Moggio Udinese 1924 – Montevideo 1990) noto come brillante giornalista del Messaggero Veneto prima e della Rai del Friuli Venezia Giulia poi, di cui fu a capo della redazione di Udine dalla sua istituzione, nel 1971, alla sua morte. Se il suo nome è legato specialmente al suo ingegno giornalistico, non può essere certamente trascurato il fatto che fu anche un giovane osovano che visse la tragedia della deportazione quando aveva solamente vent’anni: cinque lunghi mesi, dal febbraio del 1945, nel campo di Mauthausen di cui ha lasciato una struggente e meticolosa testimonianza nel libro Niemals Vergessen (Non dimenticare mai).

Un’esperienza che lo segnò nel profondo ma che non gli impedì, anzi fece sicuramente da sprone, per la sua successiva carriera di giornalista che lo vide particolarmente impegnato nella valorizzazione del territorio friulano di cui intuì, in anticipo su molti, l’importanza dell’enogastronomia. Sua fu l’idea della trasmissione Vita nei Campi che ancora oggi viene trasmessa dalla Rai regionale. Così come della rivista Il Vino alla quale collaborarono sotto la sua guida le migliori firme italiane e che ancora oggi rimane irraggiungibile per l’eleganza della forma e il rilievo dei contenuti. Fu sua anche la creazione del Ducato dei Vini Friulani, un sodalizio, nato anch’esso dalla sua capacità di precorrere i tempi, che, negli anni, è riuscito ad esportare la qualità del vino friulano in tutto il mondo.

C’è da chiedersi quanto della sua smisurata voglia di vivere, osservando e valutando il mondo sia da vicino che da lontano, non sia stata la conseguenza dell’esperienza di osovano, di internato in un campo di concentramento. Benini aveva aderito con convinzione alla formazione partigiana Osoppo dove espresse da subito il suo talento e la sua passione, dando vita alla testata clandestina “Gioventù Libera”. Il suo arresto avvenne a seguito della denuncia, da parte di una spia, che minacciò rappresaglie nei confronti dei suoi genitori nel caso in cui non si fosse presentato al comando tedesco. Cosa che naturalmente fece e che lo mise a contatto, già nel carcere di via Spalato a Udine, con la crudeltà e spietatezza che avrebbe toccato con mano nel periodo trascorso nel campo di concentramento nazista tedesco di Mauthausen nei pressi di Linz.

Nel suo libro/diario, Benini descrive bene la mattinata in cui si consegnò alla squadra politica della Questura e, al sottufficiale di servizio che lo accusò di essere un bandito, rispose: “Lo nego, non sono un bandito, ma un patriota…”. “Chi apparteneva al movimento della Resistenza andava eliminato” scrive ancora “e ciò spiega il vile servilismo della polizia di Mussolini verso i nazisti, spiega il piacere con cui ci si sbarazzava dei luridi banditi anche se si trattava di persone stimate e rette, spiega l’accanimento degli interrogatori, spiega il purgatorio di via Spalato dove nessuno, fino all’alba, riusciva a chiudere occhio per timore di servire alla rappresaglia”. Struggente è il racconto della partenza dalla stazione ferroviaria di Udine dove, a dare il via al convoglio, fu il padre di Isi, capostazione ignaro che lì ci fosse suo figlio. Il viaggio verso Mauthausen, in una sorta di carro bestiame, durò quattro giorni e con lui c’erano gli amici osovani Carlo Chiaruttini e Ivo Forni, che non sarebbero mai più tornati. Il campo di Mauthausen, descritto con dettagli crudi quanto realistici da Benini, accoglieva ben 30 mila detenuti ed era noto per essere stato costruito a ridosso di una cava dalla quale, per raggiungere il campo, i reclusi dovevano percorrere 186 gradini portando in spalla pietre dal peso di oltre settanta chili.

Sono strazianti le parole con cui Isi narra le fatiche dei detenuti, molti dei quali su quella che fu chiamata “scalea della morte”, hanno perso la vita. Ma ciò che colpisce di più del suo racconto, che sottende la passione per la cronaca, è la drammatica quotidianità di quei giorni scanditi dalla morte di patrioti confinati in quei terribili blocchi e dalle urla e imposizioni disumane degli sgherri che di quei corpi, spesso ridotti a scheletri, amavano vedere, nel loro esaltato sadismo, le sofferenze, gli effetti delle atrocità a cui venivano sottoposti.

Di Isi Benini, nel diario da quello che definisce “una fortezza impastata di sangue e cemento”, emerge, anche nei momenti ed episodi più drammatici, la curiosità che si trasforma in quella voglia di esserci che percorrerà tutta la sua vita e che diventa palpabile quando narra, in poche righe intense, la notizia della fine della detenzione. È il primo maggio e i nazisti comunicano agli internati che quel giorno sarebbero stati liberati dagli americani. Da ogni dove si sentono gli inni dei diversi paesi: la Marsigliese, l’inno russo, l’Inno di Mameli e via via quelli di tutte le nazioni a cui appartenevano i sopravvissuti. Dopo meno di un paio d’ore quegli stessi soldati nazisti avvertirono, senza cambiare espressione, che “gli americani erano ancora lontani e che per il Reich la vittoria era certa”. Alcuni morirono per l’emozione, altri passarono i giorni seguenti nel terrore, certi che sarebbero stati uccisi con i lanciafiamme come era accaduto ad Auschwitz.Ignari dell’orribile beffa, la mattina del 5 maggio scoprirono che le garitte erano vuote e che gli spagnoli avevano preso il comando del campo.

Dieci anni dopo Benini ebbe la forza di tornare a Mauthausen con il gonfalone della città di Udine “decorata con medaglia d’oro al valor militare anche per l’eroismo dei friulani morti nei campi di concentramento nazisti” per l’inaugurazione del Monumento ai Caduti italiani nei lagers. È in quell’occasione che vede su un muro del campo la scritta, vergata certamente da un detenuto, “Niemals vergessen”, non dimenticare mai.

Dove e quando:
9 marzo 1924- 9 marzo 2024
Isi Benini (1924-1990)