IL RICORDO DI DARIO RINALDI
Frequentavo le elementari ed ero stato iscritto, da mio papà, all'Azione Cattolica. L'associazione era la “Silvio Pellico”, l'assistente era don Antonio De Santi (a cui subentrerà prima don Adriano Campitelli, poi don Dario Pavlovich, per tutti «don Darietto».)
La Pellico contava tra i dirigenti diversi nomi assunti successivamente a ruoli importanti nella politica e nell'amministrazione di Trieste: in primo luogo il presidente Sergio Coloni (sarà a lungo protagonista, anche sottosegretario), ma anche diversi altri: e poi c'era la figura di Guido Botteri, sovente in visita dalla vicina parrocchia di via Rossetti.
Tra questi dirigenti della Pellico c'era appunto anche Dario Rinaldi. Lui, per me, era il riferimento più diretto: infatti all'epoca ero «aspirante», Dario era il mio diretto superiore quale appunto «delegato aspiranti». Ci separavano solo cinque anni d'età, ma in quella fase erano sufficienti a farmelo sentire come «grande». Era lui comunque che organizzava gli incontri (le così dette «adunanze»), lui che nei soggiorni estivi in montagna mi seguiva e cercava di coinvolgermi nella passione per le camminate e le escursioni che, nella Pellico, era quasi un dovere ideologico. Tentativo meritevole, ma rimasto senza esito nei miei confronti.
Di questi soggiorni montani ricordo alcune figure: i seminaristi Eugenio Ravignani e Carlo Boschin e il non ancora entrato in seminario Mario Vatta. Dario lo ricordo brillante studente del liceo Oberdan; credo che all'esame di maturità fosse risultato il migliore di tutto l'istituto.
Fu anche per questo che arrivato all'Università ed iscrittomi alla FUCI, mi meravigliai nel venire a sapere che Dario aveva dedicato la sua attività ad altri ambiti, piuttosto che agli esami di quella facoltà di ingegneria cui si era iscritto: era diventato presidente della FUCI e protagonista assoluto della politica universitaria.
Guidava una formazione, l'Intesa Universitaria, ed in quel ruolo aveva smantellato le vecchie realtà universitarie (basate sul Tribuno di stampo goliardico) per sostituirla con un modello para-partitico, l'Organismo Rappresentativo, l'O.R., una sorta di mini parlamento dove sperimentare le tecniche, le logiche, gli schemi della politica vera, quella dei grandi. Gli Organismi Rappresentativi (che si univano a livello nazionale nell'UNURI) hanno costituito la palestra di tanta parte della classe politica della prima repubblica (Craxi, Pannella, de Michelis, Occhetto e così via).
A Trieste era stato Dario Rinaldi, matricola, a far instaurare tale sistema ed lo aveva fatto con un referendum dove - così mi era stato raccontato - il timbro verde con la «R» (che stava ad indicare il voto nel referendum) veniva letto da tutti come «Rinaldi”.
Al mio arrivo in FUCI ho dunque trovato Dario in questo ruolo di Presidente, ma anche di protagonista della politica universitaria, nella quale era totalmente immerso, nel gestire anche una importante operazione politica: anticipare, nel parlamentino universitario, quella operazione politica che doveva portare all'intesa tra i Cattolici (dell'Intesa) e i socialcomunisti (dell'UGI), in buona sostanza il disegno del dominus Aldo Moro.
Ho trovato Dario, nella FUCI, ma non l’ho seguito nella politica universitaria (le mie posizioni erano piuttosto diverse). Certo è che questa diversità su un tema che ci stava a cuore ad entrambi, non ha mai influito nei nostri rapporti personali.
Nei tanti decenni che sono seguiti a quei primi anni sessanta, i contatti con Dario si sono rarefatti. Spesso sapevamo bene di essere su posizioni diverse e contrastanti - lui moroteo doc, io sempre di area liberal nazionale -, ma non ricordo ci sia mai stato un qualche cenno di polemica. Ed i rapporti personali buoni si sono trasferiti anche sulla sua famiglia. Con Dario infine c'è stata una occasione di contatto anche nell'ambito dell'associazionismo giuliano dalmata: lui presidente dei Giuliani nel Mondo, io attivo nell'ambito dell'Unione degli Istriani e della Lega Nazionale. Anche in quel contesto sapevamo bene di collocarci in posizioni diverse, ma anche allora non c'è stata polemica che ci abbia toccato ed il rapporto personale è sempre rimasto intatto, cordiale, anche affettuoso.
E' in nome di questo che la notizia della sua scomparsa mi ha profondamente turbato, perchè Dario - nonostante le tante diversità delle nostre vite - era comunque sempre rimasto il mio «delegato aspiranti» della Pellico, quello a cui ho sempre guardato con stima e con amicizia.
Paolo Sardos Albertini
Dove e quando:
Trieste
12 marzo 2022