E’ un breve testo firmato dal comando del Battaglione “Tagliamento” della XIVª brigata Martelli della Osoppo. Porta la data del 2 maggio del 1945, risale quindi ai giorni immediatamente successivi alla Liberazione ed è intitolato “Ario Polo”.
E’ un testo un po’ inconsueto: non è infatti un proclama, o una rievocazione. Si presenta in forma di poesia, un linguaggio con uno stile un po’ arcaico: per capire bisogna leggere più volte le frasi, ma soprattutto conoscere la storia di Zaccaria, ovvero Ario Polo, originario di Savorgnano di San Vito al Tagliamento, ucciso il 10 aprile del 1945 dai tedeschi a Roveredo in Piano.
Non era giovane Ario: era nato nel 1897 e faceva l’autotrasportatore. Subito dopo l’8 settembre 1943, aveva iniziato a raccogliere le armi abbandonate dai soldati italiani che rientravano dalla guerra e che poi sarebbero servite ai primi nuclei della Resistenza osovana che facevano capo a Pielungo. La sua attività dovette suscitare i primi sospetti tanto che a inizio 1944 subì un primo interrogatorio. Ritenne più sicuro lasciare San Vito e si trasferì a Marsure di Aviano, dove costituì, assieme ad altri soci, una impresa che si occupava di taglio di legname.
6 giugno 1944, è la data di inizio dell’attività clandestina nella Osoppo, riportata nella sua scheda di servizio: fu uno dei fondatori del battaglione Tagliamento, che diede origine alla XIVª brigata Martelli. Il suo compito era quello di rifornire i reparti della Brigata: cibo, vestiario, armi, tutto ciò che serviva ai suoi ragazzi in montagna. Ma più di tutto era “papà Zaccaria”, uomo saggio per mitigare quei giovani ansiosi di azioni a volte poco prudenti (“armi e cibo e parola ammonitrice di calma recante all’ansia di lioncelli pronti sempre al balzo liberatore”).
Nel marzo 1945 si ferì una gamba in un incidente e fu costretto al ricovero all’ospedale di San Vito. Nel frattempo i tedeschi arrestarono i soci di Polo, così che un suo dipendente, Giuseppe Bot, raggiunse in bicicletta San Vito per avvertire il titolare del pericolo. Polo però si sentiva al sicuro: primario del reparto ospedaliero era Sestilio Gabrielli, che già aveva protetto alcuni partigiani.
Il 20 marzo 1945 si presentò nel nosocomio il tenente delle SS Alfred Donnenburg. Nonostante l’opposizione di Gabrielli, pretese la consegna di Polo, ma soltanto per un interrogatorio: si preoccupò di dire che lui stesso era medico e lo avrebbe curato. Anche la sorella di Polo, Alma, nei giorni seguenti fu rassicurata dal tenente nazista: stava bene, in Germania, le disse.
(“A la pietà di medici e suore osò strapparti” continua il testo del 2 maggio 1945).
Invece, Polo era finito torturato a Roveredo in Piano. Dopo la ritirata dei tedeschi, la salma fu trovata con la testa fracassata a colpi di martello e ferite di pugnale in varie parti del corpo.
“Col popolo intero ti onora di pianto e sol si conforta mirandoti ne li spazi infiniti ed eterni della pace di Dio” conclude il testo osovano onorando il sacrificio di un eroe.