E’ MANCATO A BUENOS AIRES MANFREDI CORDERO LANZA DI MONTEZEMOLO

E’ mancato nei giorni scorsi a Buenos Aires, dove risiedeva fin dai primi anni del dopoguerra, Manfredi Cordero Lanza di Montezemolo, figlio del Colonnello Giuseppe, medaglia d’oro al valor militare, ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.

La scomparsa di Manfredi di Montezemolo ci offre l’occasione di ripercorrere una pagina poco conosciuta della nostra Resistenza e che vogliamo rileggere con la parole che lo scorso mese di marzo ha pronunciato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Cerimonia commemorativa dell’Eccidio delle Fosse Ardeantine.

“Dopo l’8 settembre, (Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo) fu tra i protagonisti della prima resistenza armata contro i Tedeschi a Roma. Il 10 settembre, fece parte della delegazione italiana guidata dal generale Calvi di Bergolo che raggiunse a Roma il comando del maresciallo Kesselring per fissare le clausole finali della resa ed ottenere il riconoscimento dello status di “città aperta” della Capitale.

Rifiutò di prestare giuramento di fedeltà alla neonata repubblica sociale. Riconosciuto il governo del Sud come unico legittimo, svestì la divisa, si procurò documenti falsi ed entrò in clandestinità. Fu il promotore, l’anima e la guida del Fronte Militare Clandestino di Roma (FMCR). In poche settimane definì un’organizzazione funzionale, dotata di un servizio informativo sviluppato non solo nel Lazio, con un organico che raggiunse 12.000 patrioti operanti nella Capitale. Con la piena collaborazione del suo Capo di Stato Maggiore, il Maggiore dei Carabinieri Ugo De Carolis (anche lui martire delle Fosse Ardeatine), Montezemolo impresse al FMCR un carattere nazionale, battendosi affinché le bande militari fossero riconosciute come aliquote delle forze armate italiane rimaste isolate in territorio occupato. Stabilì un regolare contatto radio col Comando supremo che subito designò Montezemolo suo diretto rappresentante in Roma, col compito di organizzare e dirigere la lotta di liberazione. Il 10 dicembre 1943 Montezemolo scrisse le «direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia», che diramò ai comandanti militari regionali del FMCR.

Le disposizioni ammettevano la guerriglia esclusivamente al di fuori del territorio urbano per evitare ritorsioni nemiche, impostazione strategica spesso differente da quella di altre organizzazioni partigiane. Montezemolo, come il Generale dei Carabinieri Filippo Caruso, Comandante del Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri (FCRC, noto come “Bande Caruso”), improntò la condotta dei militari alla piena cooperazione fra le varie componenti del movimento di Resistenza, al di là di ogni pregiudiziale politica. In particolare, il Fronte Militare instaurò un rapporto di costante collaborazione coi partiti del Comitato di Liberazione nazionale, al cui interno Montezemolo assunse il compito di osservatore militare.

Su sua iniziativa, inoltre, si costituì un Comitato permanente, emanazione della Giunta militare del Comitato di liberazione nazionale. Nei giorni dello sbarco alleati ad Anzio e Nettuno, la violenta reazione nazista si manifestò con un’ondata di arresti che falcidiò i vertici del FMCR: Montezemolo fu catturato il 25 gennaio 1944, verosimilmente in seguito a delazione.

Fu un colpo durissimo per l’organizzazione. I tedeschi ben sapevano quanto fosse importante il suo ruolo, tanto che, da tempo, avevano messo una grossa taglia sulla sua testa. Rinchiuso per 58 giorni nel carcere di via Tasso, fu sottoposto a estenuanti interrogatori e a ripetute, brutali sevizie. Mantenne sempre un contegno dignitoso, senza fare alcuna rivelazione sull’organizzazione militare, riuscendo anzi a far trapelare dalla prigionia informazioni utili per i suoi collaboratori. I nazisti decisero di non sottoporlo a un processo individuale, né procedettero a una sua esecuzione isolata, che avrebbe suscitato scalpore e certamente reazioni nella città. Dopo l’attentato di via Rasella, Kappler decise personalmente di includere il suo nome nella lista dei 335 che furono trucidati il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine.”

 

All’attività clandestina di Giuseppe di Montezemolo collaborarono i suoi due figli maggiori Manfredi, classe 1924, e Andrea, classe 1925.

Manfredi frequentava l’Accademia Militare a Lucca da dove, dopo l’8 settembre, fuggì a Perugia dove erano già rifugiati gli altri familiari. Raggiunto il padre a Roma volle collaborare con lui. Dopo l’arresto e la fucilazione del padre collaborò con un gruppo di ex allievi dell’Accademia militare, che si preparavano a intervenire quando sarebbero entrati gli alleati. Dopo la liberazione di Roma nel giugno del 1944, riprese il corso all’Accademia militare, che era stata riaperta a Lecce. Finito il secondo anno nel dicembre dello stesso anno, nel gennaio 1945, venne nominato sottotenente di artiglieria e inviato al Gruppo di combattimento Piceno, dove rimase in servizio fino al 25 aprile 1945. Nell’aprile del 1946 Manfredi di Montezemolo è emigrato in Argentina con la famiglia, dove ha attivamente collaborato con la comunità italiana. Fra l’altro per molti anni ha ricoperto la carica di presidente della Sezione Argentina della Federazione Italiana Volontari della Libertà.

Le stesse orme paterne vennero seguite dal figlio maschio minore, Andrea, il quale dopo essere stato nascosto ai nazisti nel Pontificio collegio Ucraino di San Giosafat, posto a Roma sul Colle Gianicolo, fu soldato volontario nella guerra di liberazione nel "Battaglione di Montezemolo", dal nome del padre.

Nel 1949 conseguì la laurea in architettura presso l’Università la Sapienza di Roma ed esercitò per qualche anno la libera professione di architetto lavorando nello studio di Pier Luigi Nervi, collaborando con lui nella realizzazione delle sue opere più famose. Nel frattempo maturò la sua vocazione al sacerdozio. Dal 1952 al 1954 studiò alla Pontificia Università Gregoriana a Roma mentre compì gli studi per il sacerdozio al Collegio Capranica; il 13 marzo 1954 fu ordinato sacerdote. Nel 1959 entrò nel servizio diplomatico della Santa Sede iniziando una lunga e prestigiosa carriera che si concluse con la nomina a Nunzio apostolico presso la Repubblica Italiana, incarico che ricoprì dal 1998 al 2001. Il 24 marzo 2006 Benedetto XVI lo creò cardinale. Il 27 marzo 2011 accompagnò il Papa stesso, in qualità di figlio di una delle vittime, durante la sua visita alle Fosse Ardeatine. Da tempo malato, morì a Roma il 19 novembre 2017 all'età di 92 anni.

 

Interessante l’intervista che il Cardinale Andrea di Montezemolo rilasciò al quotidiano AVVENIRE pubblicata il 24 marzo del 2014 e che riportiamo integralmente.

Dove e quando:
Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (1901-1944)