Commemorazione dell'eccidio delle Malghe di Porzus

Cerimonia di commemorazione dell'eccidio delle Malghe di Porzus.

A metà settembre 1943, disorientato dall'umiliante armistizio imposto all'Italia, ho subito aderito al nascente Movimento di Liberazione Nazionale.
Mi aveva affascinato il programma serio e convincente:
a) la libertà per tutti i ceti sociali;
b) la ricomposizione della famiglia turbata dall'assenza di milioni di giovani militari, abbandonati al loro triste destino sui fronti di tutta l'Europa;
c) la pace base essenziale di ogni progresso e di ogni bene.
Eravamo in pochi. Ma le adesioni vennero presto a valanga. E quel gruppetto diventò esercito.
Insieme abbiamo lavorato, sofferto freddo e anche ostilità e umiliazioni. Ma eravamo animati e sorretti da tanta serenità, da tanta fiducia e dall'appoggio del mondo migliore.
1 - Dovevamo combattere contro gli invasori tedeschi diventati potenti dominatori, che con gesto unilaterale avevano già decretato l'annessione della nostra Regione alla grande Germania. Nel caso di una loro vittoria dovevamo dunque subire la loro dittatura, tanto peggiore della nostra.
2 - Dovevamo combattere contro i neo - fascisti che, in buona fede, credevano di salvare il salvabile.
3 . Ma specialmente dovevamo combattere contro gli Sloveni di Tito che ci ritenevano stranieri in casa nostra.
Mi assillava soprattutto il programma di raggiungere la pace. In un mondo tanto diviso, stordito dagli eventi bellici con i loro dolorosi lutti e disastri materiali, sentivo che la pace era davvero l'anelito più profondo e più urgente. E poichè non può esserci pace senza il perdono, io da sempre mi sono impegnato a far trionfare il perdono fonte di serenità spirituale e di vera operativa fraternità.
Più volte nei miei numerosi interventi ho rivolto appelli vibranti fino alle lacrime, per smuovere mandanti ed esecutori del barbaro eccidio di Porzus a riconoscere il misfatto, a condannarlo apertamente e a chiederne umilmente e coraggiosamente il perdono.
Sono conscio di aver dato fastidio e disgusto con la mia insistenza. Ma era ed è mio dovere di essere sempre e dovunque operatore di pace e di perdono.
Non voglio essere frainteso.
Io continuo a condannare duramente l'assurdo eccidio di Porzus, causa di tante lacrime e infinito dolore.
I fratricidi assassini hanno distrutto tante famiglie felici, che chiedevano alla società di essere solo lasciate vivere in pace. Non hanno risparmiato neppure quegli innocenti nostri osovani che hanno barbaramente eliminato al Bosco Romagno dopo averli disarmati, fatti prigionieri e senza nessun processo penale; violando così ogni legge umana e divina.
Ma a chi oggi chiede perdono con sincerità, senza aver partecipato alla strage nè io, nè nessuno può negarlo "condanna la colpa, ma perdona il colpevole pentito" è un principio fondamentale di etica cristiana.
I miei vecchi appelli per la pace erano rimasti senza risposta.
Per la verità, negli anni 90, alcuni gentili e sensibili ignoti ci avevano fatto trovare alla Malga l'omaggio di una ghirlanda di fiori per i nostri morti.
E io ho pubblicamente espresso gratitudine per questo gesto di sensibilità e pietà umana. Ma li invitavo anche a convincere i veri responsabili del misfatto a pentirsi e a chiedere perdono alla Osoppo e alle desolate famiglie distrutte.
A questo punto sento il dovere di riportare un prezioso documento inedito di un grande osovano, candidato agli onori degli altari Don Emilio De Roia, il quale ricorda il simpatico gesto della posa della ghirlanda di fiori e testualmente scrive su un semplice foglio di carta:
"Non è picchiando il petto degli altri che si esprime il proprio pentimento, bensì battendo il proprio petto. Non è col portare una ghirlanda alle malghe che ci si riconcilia con loro, ma col confessare tutta la verità dalla quale assurge la grandezza dei nostri caduti e si coltivano i valori che essi propugnavano: l'italianità di quelle terre, libertà, difesa della civiltà greca, latina, cristiana, ricevuta dai padri".
Finalmente nell'estate scorsa, un eminente e illustre rappresentante delle formazioni partigiane "Garibaldi Natisone" si è spontaneamente dichiarato disposto a cercare una via possibile, seria e responsabile e anche costruttiva per un atto pubblico di riconciliazione. Accertata la sincerità con cui Giovanni Padovan "Vanni" riconosceva e condannava il triste eccidio di Porzus, ho accettato con sollievo la sua disponibilità e il suo coraggio a chiedere perdono per il deprecato misfatto.
Vanni non era nè un mandante, nè un esecutore, ma per amore e desiderio di pace, alla Malga del misfatto, il 23 agosto 2001 proclamava: "Come ultimo membro vivente del Comando Ragruppamento Divisione Garibaldi - Friuli, assumo la responsabilità oggettiva, a nome mio e di tutti coloro che concordano con questa posizione e chiedo formalmente scusa e perdono agli eredi delle vittime del barbaro eccidio".
E io davanti a questo umile e toccante richiesta, potevo rifiutare il perdono?
Io vecchio prete che tutti i giorni, nella preghiera dico al Signore rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori ?
E insiste :"Amate il prossimo, amate tutti, anche i vostri nemici".
Avrei tradito la mia missione che mi impegna, in ogni circostanza della vita ad essere operatore di bontà, di speranza, di amore.
E non posso dimenticare gli ultimi interventi del Papa, che ad Assisi, il 24 gennaio 2002, nella giornata mondiale per la pace, proclamava: "Ecco, guardate come si può camminare insieme sulla via della pace, pur rispettando le differenze di ciascuno. Solo il perdono può spegnere la sete di vendetta e aprire il cuore ad una riconciliazione autentica e duratura fra i popoli."
E un grido di speranza nella pace del perdono ci arriva anche da un significativo e toccante scritto recente di un nostro bravo osovano (D'Osulado) che suona così:

"Vuatris fradis furlans stait in uaite
di chei oms che san nome odeà.
Son stas lor che an mandat i nestri fradis
i lor fradis furlans a copa:
Ven ai oms libertat e justisie
dall'amor, dal perdon di cristians"

Gli esecutori del feroce eccidio sono stati un centinaio di garibaldini. Ma i resistenti della Garibaldi Natisone erano diverse migliaia, che hanno operato con coraggio, correttezza e nella legalità, senza macchiarsi di colpe.
Non è giusto generalizzare e condannare indiscriminatamente, colpendo tutti. Non è onesto.
Per questo, odiare chi non si è macchiato di sangue è irragionevole e sbagliato.
Mi rendo conto che posso aver dato fastidio e dolore a persone colpite negli affetti più sacri. E ciò mi fa soffrire.
Ma come indegno rappresentante di un Dio - Amore non avevo altre scelte. Il signore ci benedica tutti e ci aiuti a superare ogni contrasto.
Non vorrei che qualcuno pensasse che io ho rinunciato ad amare, a ricordare, a valorizzare i miei morti e a suffragarli cristianamente.
Io li sento sempre vivi nella luce di Dio.
Io capisco e rispetto chi non ha il dono della fede: Per loro la morte è un buio spaventoso, un vuoto raccapricciante. E mi fanno tenerezza e tanta pena.
Ma io credo. In ogni liturgia io proclamo con convinzione viva:
"Credo la resurrezione della carne e la vita del mondo che verrà".
Credo alla parola di Gesù - Figlio di Dio, che ci ama tutti, specialmente quelle persone che hanno particolarmente bisogno del suo conforto:" Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me anche se muore vivrà; anzi chi vive e crede in me non morirà in eterno" (Gv, 11,25).
Questa è la fede che mi fa pregustare la gioia e la felicità di una vita senza tramonto, dove, con i miei amati caduti, potrò rivivificare e rendere perenne quella dolce amicizia che avevamo iniziato cinquant'anni fa.

Dove e quando:
Faedis
10 febbraio 2002
ore 10.30 Canebola e Malghe di Porzus