Autorità, care amiche e cari amici
desidero ringraziare l'Associazione Partigiani Osoppo-Friuli ed il suo presidente Cesare Marzona per l'invito a partecipare alla cerimonia di ricordo delle vittime dell'eccidio delle Malghe di Porzus e del Bosco Romagno nel febbraio e nel giugno 1945.
Oggi sento un'emozione forte. Questo luogo, testimone di un atto ingiusto e barbaro, suscita sentimenti impetuosi, scuote i cuori e le coscienze. Qui, lo voglio ricordare con le oneste parole dell'ex commissario politico della formazione Garibaldi - Natisone, Giovanni Padoan pronunciate nel 2001, si è consumato "un crimine di guerra che esclude ogni giustificazione".
Un evento terribile. Perchè, ancora una volta, dimostrava fino a quale baratro di odio può condurre l'accecamento ideologico: all'assassinio, all'esecuzione sommaria di fratelli, di uomini con i quali fino a poco prima di era combattuto per la medesima causa, dalla stessa parte, contro il comune nemico.
Quante altre volte, nella storia recente e passata, abbiamo letto, ascoltato o visto episodi del genere.
Ma la numerosità, la frequenza certo non allevia né il dolore né l'indignazione. Non è accaduto e non accadrà mai finché in ognuno di noi resteranno tracce di umanità.
E' stato detto che le Malghe di Porzus - giustamente elevate allo status di monumento nazionale nel 2010 - e il Bosco Romagno rappresentano un "luogo sacro".
Sono d'accordo. Qui, non meno che in altre parti d'Italia e d'Europa dove, negli anni terribili della seconda guerra mondiale, l'uomo ha infierito sul suo fratello nel nome di concezioni disumane, tutti si devono fermare ad ascoltare le voci dei martiri, quella richiesta, quella preghiera che dice "MAI PIU'".
Il 7 febbraio 1945 un centinaio di membri dei Gap comunisti assalì alle Malghe di Porzus i partigiani della Osoppo con il preciso obiettivo di uccidere: in quel giorno vennero assassinati il comandante della Osoppo Francesco De Gregori, "Bolla", ed altri tre, tra cui una ragazza. Successivamente furono messi a morte altri 17 partigiani osovani catturati in quell'occasione.
Sappiamo tutti l'azione pervicace di occultamento dei fatti e perfino di mistificazione degli avvenimenti protrattasi negli anni.
Di Porzus non si doveva parlare. Non si doveva sapere. O, nel caso, si dovevano nascondere le responsabilità, le colpe. Manipolando le ragioni e i torti.
E' una brutta pagina della nostra storia repubblicana.
Il 29 maggio 2012, rendendo omaggio alle vittime dell'eccidio, Giorgio Napolitano diceva: <Quella strage resta tra le più pesanti ombre che siano gravate sulla gloriosa epopea della Resistenza. E io fin dall'inizio del mio mandato ho detto di non voler ignorare "zone d'ombra, eccessi o aberrazioni" che non possono oscurare il valore storico del movimento di liberazione dell'Italia dal nazifascismo ma che vanno ricordate, non rimosse, per rendere giustizia e rispetto a vittime innocenti>.
Cosa ci insegna questa "zona d'ombra" su cui sono occorsi decenni e sforzi di tanti, a cominciare da voi che siete qui oggi, perché la luce potesse risplendere sulla verità?
Credo che l'insegnamento più importante sia che non bisogna aver paura della verità e, insieme, quanto il rischio che "ragioni superiori" possano sempre metterla al rischio, ieri come oggi.
Non bisogna aver paura della verità non solo per rispetto delle persone, per dare ragione a chi ha ragione e torto a chi ha torto, ma perché sulla verità si fonda la libertà, la libertà di tutti e di ognuno. E quando la verità viene oscurata tutti siamo meno liberi, e quindi più esposti, anche quegli stessi che hanno operato perché la verità venisse maltrattata e negata.
Non è facile. Certo. Ma senza un'attenzione o, più precisamente, una vigilanza costante il compito non facile diventerà sempre più difficile: è bene che ne siamo tutti consapevoli.
Per questo io credo che, come italiani, come comuni cittadini, dobbiamo essere grati a quanti, nei decenni, si sono battuti tra mille difficoltà e resistenze perché il silenzio sui fatti di Porzus e del Bosco Romagno fossero cancellati.
Costoro hanno reso giustizia alle vittime innocenti di quel tragico episodio ma hanno anche svolto un'opera al servizio della comunità nazionale e della nostra democrazia.
Un'ultima considerazione che traggo dalle parole scolpite nella lapide apposta sulle mura del municipio di Faedis.
C'è scritto che <dopo anni di divisione lungo vecchi confini queste terre diventano luogo di incontro e cerniera di pace della nuova Europa>.
Quale presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale mi sto occupando delle iniziative per commemorare il centenario della prima guerra mondiale.
E' qui, nel nord est dell'Italia, che si concentrò la nostra guerra. Qui persero la vita seicentomila soldati e poco più della metà riportarono ferite che li segnarono per sempre. E le decine di migliaia di morti civili. I "vecchi confini" furono abbattuti e le aree che ancora restavano sotto il dominio di Vienna tornarono italiane. A che prezzo.
A cento anni dallo scoppio della Grande Guerra che devastò l'Europa e sconvolse il mondo il nostro obiettivo non è solo ricordare ma fare sì che la memoria di quella tragedia, di cui i nostri nonni sono stati protagonisti e spesso vittime, aiuti e sostenga la via della pace (e via della pace intendiamo rinominare la linea delle trincee che attraversano colline e montagne).
Certo, viviamo un tempo di pace. Ma tanti nodi non sono stati sciolti nel vecchio Continente come leggiamo, ancora in questi giorni, in Ucraina. E allora è giusto ed anche necessario che la pace, i luoghi della pace trovino spazio nella nostra vita e nei nostri pensieri.
Perché, come è scritto nella lapide, servono "cerniere" per la nuova Europa.
Da questo luogo possa partire una voce che chiede un'Europa senza le "trincee" dei nazionalismi e degli interessi più forti, un 'Europa veramente unita in cui tutti possano sentirsi come in un'unica casa.
Anche per questo obiettivo è stato versato il sangue dei nostri giovani partigiani in quei tremendi anni della seconda guerra mondiale.
Franco Marini