CELEBRAZIONE A BOSCO ROMAGNO Orazione Ufficiale di Matteo Forte

CELEBRAZIONE A BOSCO ROMAGNO

Orazione Ufficiale

di

Matteo Forte,

 Domenica 23 giugno 2013

 

Illustrissime autorità,

amici della Osoppo,

saluto quanti sono qui presenti a questo significativo momento e ringrazio gli organizzatori per avermi nuovamente invitato alla cerimonia commemorativa dei caduti di Bosco Romagno.

 

LA GUERRA DELLA MEMORIA

I tremendi fatti che oggi ricordiamo, lo sappiamo fin troppo bene, sono stati oggetto nel corso dei decenni di una vera e propria “guerra della memoria”, che getta le sue radici già negli anni compresi dal 1943 al 1945. Essa è figlia di quei contrasti che già si vivevano all’interno del movimento di liberazione, per i quali una parte di combattenti si limitava ad agire per liberare il Paese dall’occupante tedesco – rimandando a dopo il conflitto ogni diatriba circa la forma di Stato o la politica economica da adottare, piuttosto che la delimitazione territoriale da definire – ed un’altra che, invece, lavorava anche per favorire le mire titine e importare in Italia la lotta di classe. La “guerra della memoria”, che ne è seguita, ha proiettato criteri e miti ideologici in voga tra i protagonisti di quel periodo sulla lettura storica di quegli anni. Abbiamo avuto, così, storici locali che hanno scritto e tramandato l’idea che la Resistenza non fu solo una guerra contro il nazifascismo, bensì una vera e propria «lotta ideale… per la salvezza della civiltà umana» (G. Gallo, La Resistenza in Friuli. 1943-1945, IFSML, Udine, 1988, p. 11). In questo modo l’accostamento tra “Resistenza” e “salvezza” ha introdotto talune categorie per cui, allargando a dismisura un fenomeno che riguardava una specifica realtà circoscritta nel tempo e nello spazio, si è usciti dal campo della storiografia per entrare in quello dell’escatologia. L’inevitabile conseguenza è che quanti hanno partecipato a quegli avvenimenti, e dalla parte giusta, vengono considerati entro una chiave di lettura taumaturgica, scevri da ogni responsabilità. Al contrario, su chi si trovava dalla parte “sbagliata” devono ricadere tutte le responsabilità, anche quelle eventuali dei “giusti” che, in virtù del loro essere re-agenti di fronte al male, sono a priori scagionati.   

Possiamo dire che tutta la vicenda delle Formazioni Osoppo è stata una vittima illustre di questa “guerra della memoria”. E la cartina di tornasole è costituita proprio dalla lettura dell’eccidio di Porûs e di Bosco Romagno.

 

PORZÛS E BOSCO ROMAGNO

È un dato che nel pomeriggio del 7 febbraio 1945, sotto il comando di Giacca (Mario Toffanin), un centinaio tra comunisti di tre battaglioni di Gap e sloveni dell’esercito di liberazione di Tito, appartenenti al IX Korpus, torturarono e uccisero il comandante Bolla (Francesco De Gregori), il delegato politico del Pd’A Enea (Gastone Valente), il giovane Giovanni Comin e Elda Turchetti, una donna che Radio Londra aveva denunciato come spia e la Iª Brigata Osoppo aveva ritenuto opportuno trattenere alle malghe per accertamenti. Gli altri quindici vennero fatti prigionieri e condotti qui, a Bosco Romagno, dove furono sommariamente uccisi, eccetto due che, presumibilmente, decisero di passare coi gappisti. La Relazione osovana con cui venne denunciato l’eccidio ai vertici della Resistenza precisò poi: «Bolla ed Enea dopo essere stati legati e sottoposti ad orribili sevizie (particolarmente visibili sul corpo del primo) furono massacrati a colpi d’arma da fuoco». Questo episodio di violenza interna al movimento di liberazione è stato sempre faziosamente interpretato come atto di risposta al presunto doppiogiochismo dei comandi delle Osoppo. L’intento è sempre stato chiaro: minimizzare l’errore di quanti hanno combattuto “dalla parte giusta”. E la propaganda anti-osovana è giunta a giustificare l’eccidio con il rifugio dato a Elda Turchetti, quale prova di una ipotetica trattativa con i nazifascisti da considerare tradimento e quindi, in tempo di guerra, da punire con la condanna a morte per fucilazione. Dalla vasta documentazione disponibile non è mai emerso alcun tentativo di trattativa e, del resto, i numerosi processi sulla strage hanno definitivamente sgomberato il campo da ogni sospetto. Ciò che, invece, non si è mai voluto tenere nella giusta considerazione è il contesto in cui la strage di Porzûs maturò. Il Friuli, la Venezia Giulia e la Dalmazia erano terre attraversate da un doppio confine: territoriale e ideologico. L’obiettivo dei partigiani comunisti era il raggiungimento del socialismo reale. Ogni mezzo era buono per ottenerlo. Anche assecondare le mire titine, sottraendo il Friuli alla sfera di influenza angloamericana e mettendo gli Alleati di fronte al fatto compiuto, una volta finita la guerra.

 

FINE DELLA GUERRA DELLA MEMORIA?

Tre anni di intensa attività e lavoro da parte dell’Associazione Partigiani Osoppo hanno contribuito a riequilibrare una situazione che non rendeva il giusto riconoscimento alle vittime di quell’eccidio e non prestava alcun contributo ad una memoria condivisa su cui fondare le istituzioni repubblicane. Voglio brevemente ricordare i numerosi momenti commemorativi, cui si sono affiancati un’intensa elaborazione scientifica, culminata nel volume edito da Il Mulino e che raccoglie saggi di illustri storici (Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale, a cura di Tommaso Piffer), convegni e momenti di formazione e aggiornamento dedicati agli insegnanti. Solo, però, dopo la visita a Faedis del 29 maggio 2012 del Presidente della Repubblica, on. Giorgio Napolitano, si può dire che nulla è più come prima. È vero che già un suo predecessore, Francesco Cossiga, rese omaggio alle Malghe di Porzûs nel febbraio del 1992. Tuttavia non si può non rilevare l’importanza del gesto compiuto dal Presidente Napolitano per la storia personale del protagonista e per la sensibilità che caratterizza il suo modo di interpretare l’alto ruolo istituzionale che ricopre. A tale proposito lui  stesso nel suo intervento presso il municipio di Faedis ha voluto ricordare: «E io fin dall’inizio del mio mandato dissi di non voler ignorare “zone d’ombra, eccessi e aberrazioni” che non possono oscurare il valore storico del movimento di liberazione dell’Italia dal nazifascismo, ma che vanno ricordate, non rimosse, per rendere giustizia e rispetto a vittime innocenti». In quello stesso storico discorso, in cui rese omaggio ai martiri di Porzûs, parlò anche di «ragioni» «palesi» e «occulte» da parte dei «partigiani garibaldini, membri di una formazione legata al Partito Comunista Italiano», che appaiono tanto lontane per «l’asprezza e la ferocia» quanto «incomprensibili». Da qui ne discende una profonda gratitudine di noi tutti verso il coraggio e la saggezza che il Presidente della Repubblica ha saputo dimostrare ancora una volta al Paese intero. È come se egli avesse voluto anticipare di un anno quanto solennemente pronunciato il 22 aprile nel discorso di insediamento per il suo secondo mandato dinnanzi al Parlamento in seduta congiunta, quando chiese di  superare «decenni di contrapposizione - fino allo smarrimento dell'idea stessa di convivenza civile - come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti» e definì il proprio ruolo come quello di «fattore di coagulazione».

 

CONCLUSIONI

Cari amici delle Osoppo, gentile pubblico,

non credete che si possa dire che quanto testimoniato dal Capo dello Stato è il miglior omaggio ai moventi ideali dei nostri fazzoletti verdi? Non credete che l’affermazione di un’idea di convivenza civile non faziosa e aggressiva costituisca proprio uno dei tratti inconfondibili del profilo valoriale delle Formazioni osovane? Non pensate che proprio l’aspirazione a quell’alto ideale umano e cristiano convinse a prendere parte alla lotta di liberazione e contro ogni forma di totalitarismo, fino a pagare col sangue quella scelta che espose gli osovani su due fronti contemporanei e distinti? Ebbene, io credo di sì. Credo che da dopo la visita del Presidente Napolitano niente sia più come prima, ma non solo per la definitiva riabilitazione dei martiri di Porzûs e Bosco Romagno, quanto anche per l’aver mostrato in atto che la forma di lotta condotta dalle Osoppo ha dato i propri frutti. Quanto per l’aver mostrato in atto che il sangue non fu versato invano e che, pur nella contrapposizione politica, è possibile orientarsi al bene comune e riconoscere la dignità di tutti e di ciascuno.

 

Concludo riportando un’impressione personale. Quando mi sono recato per la prima volta alle malghe di Porzûs osservai che il luogo dove avvenne l’eccidio delimita la linea di confine, a presidio dell’italianità del territorio. Chi ha vissuto in libertà al di qua di quella linea, chi oggi può condividere quale patrimonio comune quanto testimoniato dal Presidente Napolitano, lo deve certo a Bolla ed agli altri uomini che qui trovarono la morte.        

Dove e quando:
Bosco Romagno
Domenica 23 giugno 2013