ANTONIO COMELLI “CORTE” - PARTIGIANO DELLA OSOPPO

A cura di Lionello D'Agostini
Molto, anche se non a sufficienza, si è scritto e detto dell' avv. Antonio Comelli come Assessore regionale all' Agricoltura dal 1964 al 1973 e prima ancora come Assessore all'Agricoltura della provincia di Udine, ma soprattutto come Presidente della Regione Friuli-VG (1973 – 1984) all'epoca del tragico terremoto del 1976 e della esaltante fase della ricostruzione (il mai più replicato Modello Friuli). Senza dimenticarne il ruolo come esponente di primo piano del partito della Democrazia Cristiana, al quale aderì fin dalla sua costituzione. Molto meno, al contrario, si sa del partigiano Comelli Antonio. Già, davvero molto poco. Soprattutto se si pensa quanto profondamente l'esperienza della lotta partigiana – sotto il profilo umano, sociale e politico – abbia segnato la sua vita.
E' noto che l'8 settembre 1943 egli stava prestando servizio militare come allievo ufficiale: in quel confuso e drammatico momento per le sorti dell'Italia, rientrò nel suo paese natale Nimis. E lì maturò la sua scelta di aderire, come molti altri patrioti, al movimento della Resistenza. Ne parlò con la mamma Chiara, la quale – anziché tentare di dissuaderlo dall'intraprendere un percorso irto di difficoltà e di pericoli estremi – con la straordinaria forza d'animo propria anche di altre mamme di quel tempo lo abbracciò e gli diede la sua benedizione.
Non sappiamo con precisione in che periodo collocare la sua decisione: di certo fu uno dei primi ad aderire alla nuova formazione che si era dato il nome di Osoppo Friuli e la cui decisione di costituirsi fu presa la notte del 24 dicembre 1943. Nelle settimane successive ci fu una fitta rete di contatti che portò via via vari gruppi di ribelli a confluire nella Osoppo. Sappiamo con certezza che nella scheda personale di Antonio Comelli viene indicata quale data di adesione il 1° febbraio 1944.
Andava egli in quei giorni radunando a Nimis un gruppo di ragazzini fra i 14 e i 16 anni, primo nucleo della Resistenza, e prendendo contatti con mons. Aldo Moretti, Agostino Candolini, Mario Cencig e altri, che stavano costituendo la brigata “Osoppo-Friuli”. La quale lottava bensì per liberare l'Italia dall'esercito nazista e dal fascismo, ma anche per garantire l'italianità del Friuli orientale contro le mire espansionistiche di Tito e contro la preparazione della rivoluzione proletaria. Comelli – nome di battaglia “Corte” - insieme con la sua banda di ragazzini terribili, si diede fin da subito a far incetta di armi abbandonate da soldati italiani, per passare poi al confezionamento di munizioni e di bombe rudimentali, che venivano collocate sui tralicci dell'alta tensione nella pianura intorno a Udine. I membri del gruppo lasciarono Nimis alla spicciolata nel mese di luglio del 1944 e furono aggregati alla I^ Brigata “Osoppo-Friuli”, che operò prevalentemente nella zona di Attimis. Pochi giorni dopo, uno di essi, appena sedicenne, venne ferito a morte da un colpo di mortaio proprio nei pressi di Attimis: Comelli lo raccolse e assieme agli altri lo accompagnò alla sepoltura lontano da lì. Il 20 agosto i cosacchi, sotto la guida dell'atamano Krassnov e agli ordini del generale Vlasov, irruppero nella Valle del Torre con cavalli e carriaggi, accompagnati da donne, vecchi e bambini. Il grosso delle truppe si acquartierò a Tarcento; a Nimis si stabilì un presidio di 700 uomini circa, con il compito di rastrellare la zona eliminando i partigiani. Due giorni appresso, il primo conflitto a fuoco con i cosacchi, le cui avanguardie furono attaccate sulle pendici del monte Plajul da un drappello di partigiani: la battaglia durò alcune ore e alla fine i russi dovettero ritirarsi.
La rappresaglia si abbattè come un maglio terrificante: il 25 agosto un reparto corazzato di SS occupò la frazione di Torlano, catturò 34 persone, vecchi e bambini compresi, e li trucidò barbaramente per poi cospargerli di benzina e bruciarli. Nel frattempo, il 21 agosto, dopo lunghe e sofferte trattative, si era costituito il comando unificato della divisione Garibaldi-Osoppo, in vista di più ampie iniziative nel Friuli orientale. L'orrore suscitato dall'eccidio di Torlano accelerò i piani d'attacco predisposti dalla Resistenza in quell'area. Tre compagnie di partigiani mossero verso il centro abitato di Nimis e a “Corte” - che quelle zone conosceva palmo a palmo come pochi altri - venne affidato il comando di una compagnia dotata anche di un mortaio abbandonato in paese dagli alpini. La compagnia attaccò l'abitato di Nimis da sud e nella battaglia che ne seguì Comelli, pur ferito alla testa da una scheggia, continuò ad avanzare con i suoi; fece prigionieri alcuni cosacchi e si avvicinò al paese, che fu quindi in breve liberato il 30 agosto. Il 5 settembre partecipò alla battaglia di Povoletto, dove il presidio tedesco – corroborato da soldati della Repubblica di Salò – fu costretto alla resa, lasciando sul campo molte armi e munizioni. Altre azioni belliche vennero portate a termine nelle zone di Vedronza, Ciseriis, Molinis. A seguito di queste imprese e di parecchie altre ad esse collegate si potè giungere alla costituzione della Zona Libera del Friuli Orientale, che comprendeva Nimis, Attimis. Faedis, Torreano, Taipana e Lusevera.
Le attività in quel triste periodo avevano assunto un ritmo frenetico. Mentre proseguivano le attività militari alternate a operazioni di sabotaggio, Comelli si dedicava, in vista della ripresa postbellica, anche alla vita civile e a un minimo di organizzazione della vita politica: il 20 settembre si svolsero a Nimis, per la prima volta dopo il fascismo, libere consultazioni per l'elezione del consiglio comunale e del sindaco. Ma lugubri nubi nere si addensavano su quelle terre martoriate. Il 27 settembre imponenti forze tedesche e cosacche (si stimano 30.000 uomini), con il supporto di artiglierie e carri armati si lanciarono alla controffensiva nella Zona Libera.
La battaglia si protrasse per due giorni con furiosi combattimenti, che videro episodi di eroica resistenza dei gruppi di partigiani – osovani e garibaldini – largamente inferiori per numero e mezzi. Alla fine del secondo giorno, dopo aver subito notevoli perdite e per evitare la distruzione totale o una dolorosa prigionia, i superstiti riuscirono a rompere l'accerchiamento e a rifugiarsi sui monti.
Seguì, inevitabile e spietata, l'atroce rappresaglia sulle popolazioni dei paesi di quell'area. Rastrellamenti di persone che in gran parte vennero deportate in Germania. Incendi di case a Nimis, Attimis, Faedis, Ramandolo . . . che si protrassero per due giorni. Bagliori sinistri illuminarono allora le notti di quella valle. A quello strazio assistevano dalle pendici dei monti i gruppi di partigiani.
E Comelli anni dopo ricordava “la grande angoscia che dava dai monti la tragica visione dei paesi incendiati”, che si accompagnava al dolore per le deportazioni, la fuga in massa delle popolazioni, le sofferenze e i lutti delle famiglie. Nel mese di ottobre si colloca quella fase che portò alla rottura della collaborazione tra le formazioni dell'Osoppo e della Garibaldi, quando quest'ultima – sotto una pressante e minacciosa insistenza – decise di passare alle dipendenze operative del IX Corpus sloveno, che intendeva occupare buona parte della terra friulana (fino al Tagliamento) per poterla incorporare, a guerra finita, nella Federazione jugoslava. I comandanti dell'Osoppo (Berzanti e De Gregori), intuendo le gravi conseguenze che ne sarebbero derivate, decisero di rifiutare quell'insidioso passaggio che avrebbe comportato senza dubbio una seria minaccia all'integrità del Friuli e compromesso irrimediabilmente il già precario futuro dei confini della patria italiana. Ben poco – neppure due mesi - era durata la fragile vita del comando unificato Osoppo-Garibaldi! Il comando dell'Osoppo venne allora installato a Porzus. Il 1° febbraio 1945 Comelli – lo avrebbe ricordato in seguito con precisione e non avrebbe potuto mai dimenticarlo - venne convocato dal comandante De Gregori (Bolla) a Porzus per costituire un gruppo di osovani da inviare nella zona dei Musi, ove gli sloveni stavano avanzando e “si temeva che attuassero un piano per precostituire una situazione di fatto a loro favorevole”, in vista dell'ormai prossima fine della guerra.
E venne il livido giorno del fatale 7 febbraio: l'ignobile agguato dei gappisti di Giacca e il massacro degli osovani presenti con il comandante Bolla alle malghe di Porzus. Comelli quella mattina avrebbe dovuto di nuovo incontrare Bolla proprio a Porzus, ma un incidente meccanico alla vecchia auto che lo accompagnava gli impedì di giungere a quell'appuntamento e gli salvò la vita. Un segno del destino. Dopo quell'episodio, Comelli si rifugiò nella pianura friulana. Colpito da una grave malattia, venne ricoverato sotto falso nome all'ospedale di Udine, ove rimase fino alla Liberazione.
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